Chi frequenta questo sito, ovviamente, conosce benissimo i Concerti Brandeburghesi di Bach.
Rappresentano una sorta di sintesi della polifonia applicata al concerto con strumenti solisti dell'epoca bachiana. Prendono spunto dalla prassi compositiva italiana, francese, tedesca della prima metà del '700.
Sono pensati all'origine per più strumenti differenti. Hanno stili diversi, strutture diverse, compagini strumentali diverse.
Insomma sono quanto di meno omogeneo ci sia in qualsiasi altra raccolta bachiana.
Sono innanzitutto polifonia pura, soli-e-tutti, ensemble, in alcuni parti solistiche esasperate. Anche musica consortile.
Così ad orecchio, anche senza andare ad esaminare le partiture, quanto di più lontano ci sia dalla scrittura cameristica, da quella pianistica e da quella di un duetto pianistico in particolare.
Eppure già nel 1905-1906 il grande "bachiano" Max Reger ne ha curato un arrangiamento ma forse riduzione sarebbe il termine più adatto, per due pianisti alla stessa tastiera, quindi per un duo a quattro mani.
io ne conosco una versione edita da DG e pubblicata nel 1996 con il duo Trenkner-Speidel.
La struttura dei sei concerti è mantenuta molto fedelmente. Ma in alcuni casi c'è uno sbilanciamento tra il primo e il secondo.
Tanto che si resta in sospeso nell'ascolto, sebbene il risultato sia interessante.
L'americana Eloenor Bindman che ha studiato per decenni questo maniscritto (oltre che tutta l'opera di Bach) ne ha tratto l'estro per un differente e più equilibrato (o ripartito) arrangiamento pubblicato l'anno scorso
dall'etichetta Grand Piano.
Il riequilibrio è più evidente nei concerti più cameristici come il 3° e specialmente il 6°.
Ma lascia più libero il primo nella parte virtuosistica del 5°, un concerto in cui il cembalo arriva a livelli che per altri 50 anni (con Mozart) difficilmente verranno superati.
E se nel concerto con tromba è facile staccare lo strumento che suona in una gamma sonora tutta a sinistra, è tutt'altro discorso farlo quando in origine ha a disposizione tutta la tastiera.
L'ascolto è molto interessante e si impara ancora qualche cosa da pagine conosciute a memoria.
Il valore dell'originale non ne risulta intaccato, anzi, se due musicisti di epoche così distanti (da Bach e tra loro) hanno impegnato le loro energie per rivederne una versione ridotta al pianoforte, il senso delle opere ne risulta piuttosto accresciuto.
Non che fosse strettamente necessario ma certamente è un'aggiunta importante alla già vastissima letteratura di trascrizioni e arrangiamenti della grande cattedrale tramandataci dal tempo per mano di quel gran genio di Bach.
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